EX3 Centro per l’Arte Contemporanea
JULIAN ROSEFELDT
AMERICAN NIGHT
IAN TWEEDY
70 ZEPPELINS
30 ottobre – 5 dicembre 2009 Prorogata al 24 dicembre
Viale Giannotti 81/83/85
Inaugurazione giovedì 29 ottobre, ore 18
Visto il grande successo di pubblico, il nuovo Centro per l’Arte Contemporanea di Firenze, ha deciso di prorogare la doppia personale di Julian Rosefeld e Ian Tweedy, due artisti rappresentativi della scena internazionale contemporanea. La mostra, a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini resterà dunque aperta sino al 24 dicembre.
Con le mostre personali di Julian Rosefeldt e Ian Tweedy, a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini, si è inaugurato giovedì 29 ottobre 2009 l’attività espositiva di EX3, il nuovo Centro per l’arte contemporanea di Firenze.
Rosefeldt e Tweedy sono artisti di spicco della scena internazionale. L’uno tedesco, per origine e formazione, l’altro nato in Germania, ma all’interno di una base militare americana – e dunque americano di nazionalità – operano entrambi, con mezzi diversi, nel campo della riscrittura del reale attraverso la decostruzione del racconto visivo. A fronte di evidenti differenze linguistiche e stilistiche, le opere di Tweedy e Rosefeldt, presenti in mostra, affrontano temi comuni: la cultura delle armi, il bisogno di dominio, l’idea della conquista, il fascino della retorica della guerra, il fallimento della politica, il rapporto dell’individuo con il reale e con la sua rappresentazione. Attraverso continui salti temporali, virando tra memoria collettiva e personale, gli artisti sfruttano differenti immaginari per riflettere sulla condizione dell’uomo nella società contemporanea. I loro lavori affiancano, a un approccio di carattere speculativo, una palese forza comunicativa capace di trasformare l’esperienza estetica in un singolare momento di conoscenza. La scelta di due artisti diversi per età, formazione e linguaggio, risponde al progetto di EX3, volto a promuovere le realtà artistiche giovanili più interessanti, senza trascurare lo studio e la diffusione del lavoro di artisti dal curriculum più strutturato.
EX3 è sostenuto dal Comune di Firenze, Assessorato alla Cultura, Assessorato alle Attività Produttive, Consiglio di Quartiere 3.
EX3 ringrazia Convivium Firenze, Mercafir, L.a.b.a., Farrow & Ball, Starhotels. Azienda Agricola Petreto per la collaborazione.
EX3 – Centro per l’Arte Contemporanea
Viale Giannotti 81/83/85 – 50126 Firenze
Orario di apertura:
Dal mercoledì al sabato, dalle 11 alle 19 – domenica dalle 10 alle 18
Chiuso il lunedì e il martedì
Per informazioni:
Tel. 055 0114971 – www.ex3.it – info@ex3.it
Julian Rosefeldt
AMERICAN NIGHT
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
EX3 ospita la prima personale di Julian Rosefeldt in Italia. L’artista tedesco (Monaco 1965) è noto al pubblico internazionale per le sue grandiose installazioni multi-canale; elaborate messe in scena che, nella maggior parte dei casi, intrecciano i comportamenti stereotipati della vita quotidiana con la finzione filmica.
Negli spazi di EX3, Rosefeldt presenta tre lavori: American Night (2009), Stunned Man (2004) e Lonely Planet (2007).
American Night, l’ultima produzione a 5 canali dell’artista, è un grande omaggio alla costruzione cinematografica. Su cinque grandi schermi disposti a ventaglio scorrono le immagini di quella che a prima vista si profila come la scomposizione in parti di un tradizionale film western: la natura selvaggia, il cowboy solitario, la cittadina semideserta, un gruppo di cowboy attorno al fuoco, il saloon, la donna in perenne attesa. Con il passare del tempo e il sovrapporsi delle scene, l’opera svela la propria complessità. Si citano quadri di Caspar Friedrich, rompendo il cliché dell’uomo rude e solitario; si decostruisce il paesaggio naturale americano, mostrandone l’inconsistenza; si svelano i set cinematografici, destrutturando un racconto apparentemente codificato. Una costruzione a cui fa dunque seguito una continua destrutturazione, operata attraverso il ricorso a una serie di meccanismi funzionali alla generale decostruzione del processo narrativo. Così, mentre i cowboy bivaccano di fronte al fuoco (un’immagine senza tempo che ben presto rivela, però, che siamo di fronte a cowboy contemporanei che passano dalla difesa del diritto di “fare ciò che l’uomo ritiene essere più giusto” al discutere la teoria del film western), un elicottero dell’armata USA atterra nel mezzo di un villagio deserto e soldati in tenuta da combattimento lo invadono; a seguire, fantocci, che sembrano Barack Obama e George W. Bush, discutono animosamente della possibilità di cambiamento fino ad arrivare allo scontro fisico. American Night è anche una potente allegoria politica contemporanea, dove passato e presente si incrociano in una riflessione sulla cultura globalizzata del nostro tempo.
Lonely Planet indaga il rapporto tra realtà e finzione, attraverso la retorica del viaggio. ll film si apre con la comparsa, in lontananza, di una figura solitaria che cammina nel deserto. Man mano che questa si avvicina ne distinguiamo i tratti e l’abbigliamento da giovane viaggiatore: gli occhiali da sole, le collane etniche, lo zaino con l’immagine del “Che”, il sacco a pelo. L’equipaggiamento conforme al classico viaggio in India del turista occidentale alla “ricerca di se stesso”, accompagna il protagonista attraverso un paese rappresentato nei suoi cliché ricorrenti, sottolineati ulteriormente dai toni “zafferano” in cui è virata la pellicola. La rappresentazione del paesaggio si lega allo svelamento della finzione filmica. Il passaggio si complica quando, alle immagini della folla sulle riva del fiume, iniziano ad alternarsi quelle di volti intenti a guardare qualcosa, che presto si scopre essere lo stesso film che stiamo guardando noi. La finzione comincia ad essere scoperta quando il protagonista entra nel cinema, dove viene applaudito dal pubblico mentre sullo schermo scorrono le immagini del suo procedere, raddoppiandolo.
Stunned Man, parte della celebre Trilogy of Failure (2004/05), esemplifica la frustrazione di fronte all’impossibilità della ricerca di senso della vita contemporanea, presupposto ricorrente del lavoro di Julian Rosefeldt. I due schermi su cui è presentata l’opera offrono un’inquadratura simmetrica: lo stesso setting, lo stesso interprete, gesti a prima apparenza speculari. Il protagonista si muove all’interno del proprio appartamento, compiendo azioni banali, spostando oggetti, aprendo il computer, riordinando i libri. Progressivamente il suo atteggiamento ossessivo si fa sempre più violento fino a cedere a una sorta di furia distruttrice. Il protagonista procede così a distruggere e ricostruire il suo spazio abitativo in un loop senza fine mentre nello spettatore cresce un forte senso di claustrofobia. Il nostro sguardo ricerca un varco verso il mondo esterno, una via d’uscita ripetutamente negata; le azioni mantengono il loro andamento insensato mettendo in scena una sorta di “psicopatologia della vita quotidiana” priva di possibilità di redenzione.
Il catalogo, di prossima uscita, è stato realizzato in collaborazione con il Kunstmuseum di Bonn.
Ian Tweedy
70 ZEPPELINS
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
Ian Tweedy (Hahn, 1982), fonda la propria ricerca artistica sull’analisi dei rapporti tra biografia individuale e memoria collettiva, sull’appropriazione soggettiva della storia e più in generale sulla riflessione intorno ai concetti di identità, appartenenza e libertà.
Tutti i lavori di Tweedy nascono dalla trasposizione di immagini che provengono da un suo archivio personale in continua crescita. «Ciò che faccio», ha dichiarato l’artista in una recente intervista, «è semplicemente incorporare il mio archivio nella mia vita quotidiana. Da una parte mi lascio influenzare da queste immagini, dall’altra piego e costruisco le verità che queste immagini trasmettono per adattarle alla mia propria verità».
Attraverso l’utilizzo di mezzi diversi – dal disegno al collage, dall’installazione al video – Tweedy interpreta la realtà come espressione di una sovrapposizione fluida di memorie e di immagini. L’uso in pittura di supporti diversi, che portano in sé le tracce di un passato più o meno recente – come copertine di libri, pagine di vecchie riviste, superfici d’appoggio, stracci utilizzati per pulire i pennelli – risulta funzionale a questo tipo di visione del tempo e della storia.
Alla formazione del pensiero di Tweedy ha contribuito in maniera determinante l’esperienza del graffitismo. Nello spazio urbano ogni immagine è sottoposta a un processo di accostamento visivo capace di modificarne la percezione e dunque il significato ultimo. Ogni immagine urbana è affiancata ad un contesto di segni che preesistono all’immagine stessa e che ad essa si sovrappongono. Così come nei lavori di Tweedy, scritte e pitture murali portano in sé i segni di storie precedenti e durano finché un’altra scritta o un’altra immagine non le modifica, sovrapponendosi ad esse.
La mostra concepita per gli spazi di EX3, dal titolo 70 Zeppelins, ruota attorno all’omonima installazione composta da 70 diversi disegni raffiguranti immagini di dirigibili. Ogni disegno è realizzato su un diverso supporto a stampa che conferisce all’immagine disegnata un significato inedito.
Nell’immaginario di Ian Tweedy il dirigibile viene a costituirsi come un elemento di grande valore espressivo e simbolico, legato alla storia della prima guerra mondiale, all’idea di progresso e alla letteratura di viaggio. Quella di Tweedy è una cultura visiva condizionata dalle immagini d’epoca, una sorta di “vintage” colto e coerente, attraverso il quale l’artista si muove alla ricerca delle proprie radici storiche, di una propria identità complessa.
Completa la mostra un grande lavoro site-specific, un wall painting dal titolo The Departed in Dazzle, in cui l’immagine di un soldato americano, in partenza per la guerra, è incorporata all’interno di un gigantesco pattern mimetico realizzato secondo le curiose modalità diffusesi in Inghilterra durante la Prima guerra mondiale. L’immagine fortemente emotiva del soldato nell’atto di salutare moglie e figli – una chiara riflessione sull’idea della morte e sulla memoria – contrasta nettamente con la percezione straniata dello spazio, segnato da linee bianche e nere orientate in direzioni diverse. Secondo le teorie di Norman Wilkinson, pittore e marinaio inglese, pattern complessi, come quello replicato da Tweedy, potevano essere utilizzati in guerra per modificare la percezione delle dimensioni e della velocità in movimento di un oggetto, ingannando in questo modo il nemico. Questo tipo di pittura, ispirato ai quadri dei pittori vorticisti, fu utilizzato durante la prima guerra mondiale per dipingere navi e altri apparecchi militari, dando vita a uno strano nesso, dal carattere surreale, tra creazione artistica e strategia militare.